Mana, la mostra di Gai Candido

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Gai Candido, classe 1949, è un artista che afferma di se: “Ho scelto il mestiere più bello del mondo esprimendo la mia concezione dell’arte: una voglia irrefrenabile di dipingere, creare, assemblare che mi conquista ogni giorno della mia vita”.

Diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, è stato per molti anni docente di discipline pittoriche negli istituti d’arte e nei licei Artistici.

Nella sua lunga carriera ha collezionato innumerevoli mostre e spesso si è trovato a dialogare con l’Africa interpretandone la tragedia attraverso colore e materia.

Il suo ultimo lavoro è Mana, mostra che si inaugurerà il 4 marzo alle ore 18.00 presso Spazio Salvatore Parlato, Palazzo Campofranco a piazza Croce dei Vespri 8, a cura dell’Associazione Genius Loci Palermo.

La mostra in allestimento

Maria Reginella, storico dell’arte, ci presenta  così la sua personale

Come uno “sciamano” Gai Candido individua le paure e le credenze, che ancora oggi turbano i sogni degli uomini, e le esorcizza intrappolandole nelle sue opere.

Nascono così le torri del silenzio, cippi funerari, sulle cime dei quali sventolano variopinte strisce di stoffa abbandonate ad una lenta distruzione, monito dello spreco di risorse. Egli raccoglie legni e rami e li intreccia con gli scarti, spaghi, corde di plastica e oggetti non più utilizzati, ricoprendoli di pezze colorate, frammenti di storie vissute già concluse, “stracci”, colorati di sangue, di cielo, di sole e di luce che indicano la fine prossima dell’uomo e della natura, preghiere che verranno ascoltate quando saranno disgregate e svaniranno.

I “Combusti” riducono la pittura ad un segno, ripetuto all’infinito. Un alfabeto immaginario, creato dalla necessità di comunicare. Carte o frammenti colorati, incollati su un supporto di tela o di legno, vengono trattati con la fiamma per alterarne il colore, creando delle ferite sulla crosta. Il segno astratto esprime nuovi significati e manifesta ciò che non è facile dire; non più parole ma solo segni evocativi.

Candido, in silenzio, osserva la complessità del mondo e ripercorre le tappe della sua ricerca durata una vita, scarnificandola al fine di chiuderne il cerchio.

Nei grandi teli intitolati “Quello che non ci siamo detti”, dedicati ai suoi genitori, i segni si susseguono sulla superficie, numerosi ma regolari, scanditi come i battiti del cuore. Il rimpianto e la melanconia convivono con ricordi gioiosi. Erano tante le cose da dire e da esprimere e, oggi, sono state affidate all’arte.

La mostra resterà aperta al pubblico dal 5 al 12 marzo dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 19.00. La domenica dalle 10.00 alle 13.00.

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